Si chiama fitorisanamento e si tratta di una tecnica che nel 1998 fu utilizzata a Chernobyl nella speranza di bonificare l’area intorno al reattore nucleare che 12 anni prima esplose, causando una spirale di decessi ancora oggi difficile da quantificare, avvelenando l’aria e i campi e costringendo centinaia di migliaia di persone a scappare per sempre da quella che ormai è tragicamente passata alla storia come la regione radioattiva più tossica d’Europa.[banner]Come spiegato sul sito dell’UNEP, il fitorisanamento consiste “nell’uso diretto di piante verdi viventi per la rimozione, la decomposizione, o il contenimento dei contaminanti nel suolo, nei fanghi, nei sedimenti e nelle acque superficiali e sotterranee.”

In parole semplici di tratta di coltivare terreni inquinati con varietà di piante in grado di assorbire i veleni, come ad esempio il girasole, la senape indiana, il pioppo e la canapa. Proprio quest’ultima fu impiegata nel tentativo di bonificare Chernobyl e consentì di ottenere risultati talmente soddisfacenti da essere adoperata successivamente anche in altre zone del mondo infestate.

Anche in Italia non sono mancate sperimentazioni in questo senso, ma tra tutte le zone sottoposte a fitorisanamento, attualmente quella allo stadio più avanzato riguarda i campi attorno all’Ilva di Taranto.
Qui, dove circa 11.000 persone sono morte a causa dei veleni emessi dalla centrale (ritenuta responsabile nel 2006 del 92% delle emissioni nazionali di diossina) i terreni nel corso degli ultimi anni hanno visto un crescente avvelenamento e tanti allevatori e coltivatori sono stati costretti ad abbattere il bestiame e ad abbandonare le produzioni, seguendo l’ordinanza del 2010 che vietò il pascolo nel raggio di venti chilometri dall’Ilva.

Stiamo parlando di un disastro ambientale dalle dimensioni tragiche, che ancora oggi sta minando la salute del territorio e della cittadinanza che abita nei pressi della centrale. Per questo si è costituito C.A.N.A.P.A. (Coltiviamo Azioni Per Nutrire Abitare Pulire l’Aria), un progetto promosso da Canapuglia, ABAP (Associazione biologi ambientalisti pugliesi) e dal Centro di Ricerca per l’Agricoltura, nato con l’obiettivo di testare la validità delle proprietà di fitorisanamento della canapa sulle zone contaminate di Taranto.

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Purtroppo occorrerà del tempo prima di poter tirare le somme sulla bonifica in corso, ma ad oggi secondo una dichiarazione rilasciata a VICE News da Claudio Natile, Presidente di CanaPuglia, si può già dire che la canapa sia andata a migliorare la fertilità del suolo, lavorandolo in profondità con le sue radici, sequestrando otto-dieci tonnellate di CO2 ad ettaro e fissando il carbonio nel suolo, elemento fondamentale per mitigare i cambiamenti climatici.

La cannabis infatti è una pianta altamente tollerante ai metalli pesanti, ha radici resistenti e una spiccata capacità di acclimatamento; soprattutto sarebbe in grado di catturare e accumulare metalli pesanti, detossificandoli e rendendoli innocui grazie all’azione delle proteine fitochelatine, prodotte dalla pianta in risposta all’eccessivo assorbimento di metalli pesanti.

Campo di canapa pugliese (2 ettari) dopo 45 giorni dalla semina.
Campo di canapa pugliese (2 ettari) dopo 45 giorni dalla semina.

L’aspetto rivoluzionario è anche nel fattore economico: questa tecnica, rispetto ai metodi di bonifica tradizionali, prevede costi molto ridotti. Inoltre questo progetto è in grado di favorire un’industria dall’indotto notevolmente ampio che genererebbe di conseguenza anche numerosi posti di lavoro.
C’è da dire però che anche se questa soluzione sta rianimando glia animi di molti abitanti di Taranto, ciò non toglie che un’intervento drastico per arrestare l’attività inquinante dell’Ilva sia necessario: il fitorisanamento da solo non può bastare a ripristinare la salute dell’area, adesso inquinata da un cocktail di diossina, piombo, nichel e altre decine di sostanze altamente tossiche per l’uomo e l’ambiente.

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